Cessa il contratto di allocazione, la Cassazione respinge il ricorso dello studio di medicina.

Uno studio di medicina ha impugnato una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma riguardo l’immobile in affitto presso cui si svolge l’attività sanitaria. Una società immobiliare aveva eseguito un ordine della proprietaria dell’immobile, la quale voleva cessare il contratto di locazione diverso dall’uso abitativo (ufficio e studi medici).

 

I legali dello studio hanno impugnato la sentenza sottoponendo il caso alla Corte di Cassazione si sono affidati ad un unico motivo di ricorso, lamentando la falsa applicazione di diversi articolo del Diritto di Locazione. I legali hanno riscontrato una mancanza di chiarezza da parte della proprietaria dell’immobile sui motivi che l’hanno spinta ad estinguere il contratto con lo studio medico; inoltre, sempre secondo il parere dei legali, la Corte territoriale del precedente grado di giudizio avrebbe omesso di considerare la tutela della stabilità delle locazioni non abitative, senza tener conto dell’attività di interesse pubblico svolta dallo Studio.

 

La Corte di Cassazione ha confermato il giudizio espresso nei precedenti gradi di giudizio. Infatti, oltre al diritto imprescindibile della proprietaria dell’immobile di modificare la destinazione di utilizzo al termine del contratto di locazione con lo Studio di Medicina, la Corte ha definito congrua e legittima la motivazione data per la rescissione del contratto.

La Cassazione ha condannato lo Studio di Medicina al risarcimento danni nei confronti della proprietaria, comprensivo delle spese giudiziarie e di un versamento di contributo unificato.

 

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“ […] la ricorrente, oltre a sindacare, inammissibilmente, alla luce della nuova formulazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile nel caso di specie ratione temporis (essendo stata la decisione impugnata pubblicata in data 5 giugno 2014), la motivazione della sentenza impugnata (v. p. 7 e p. 8 del ricorso), censura, del pari inammissibilmente in questa sede, la valutazione circa la serietà del diniego che costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sia sorretta – come nel caso all’esame – da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. […]”.

Sentenza 22 luglio 2016/15145