Licenziata dirigente di una struttura sanitaria, il Tribunale la condanna al risarcimento
Il licenziamento di un dirigente viene trattato in maniera diversa rispetto a quello di un dipendente semplice; infatti, nel caso di un dirigente non è necessario un giustificato motivo oggettivo, ed è consentito in tutti i casi di ristrutturazione aziendale, senza arbitrarietà né motivazione pretestuose.
Un’ex dirigente di un’Azienda Sanitaria Locale ha presentato ricorso sul licenziamento subito e intimatole dalla direzione; il Tribunale di Appello di Roma aveva accolto parzialmente il ricorso dell’ASL, respingendo la domanda di risarcimento proposta dalla ex dirigente. La lavoratrice ha presentato ricorso presso la Corte di Cassazione.
Il primo motivo di ricorso presentato dai legali della donna entra nel merito strettamente giuridico, trattando dei tempi di prescrizione e del tipo di licenziamento in questione. I legali hanno classificato il licenziamento della donna “recesso datoriale nullo”, senza limiti di prescrizione, e non “licenziamento annullabile”, per cui sono invece previsti 5 anni di prescrizione. Inoltre, gli avvocati hanno insistito sulla correttezza dei tempi con i quali la donna ha impugnato il licenziamento.
La Cassazione ha rigettato entrambi i motivi del ricorso, giudicandoli inammissibili; infatti, essendo già stata definita la natura del licenziamento nel grado di Appello, il ricorso non può essere accolto dalla Corte. Non essendo stati rispettati i limiti della prescrizione, le richieste dell’ex dipendente devono essere rigettate. La Cassazione ha condannato in via definitiva la donna al risarcimento delle spese legali nei confronti dell’ASL.
Il nostro Studio Legale Tommasini è in grado di fornire assistenza in materia di diritto del lavoro e tutela dei lavoratori, anche in caso di licenziamento ingiustificato o discriminatorio, a Verona e provincia.
“[…] L’azione volta ad impugnare il licenziamento illegittimo, in quanto diretta a fare valere un vizio di annullabilità, si prescrive in cinque anni e tale prescrizione determina – al pari della decadenza dall’impugnativa del licenziamento – l’estinzione del diritto di far accertare l’illegittimità del recesso datoriale e, quindi, di azionare le conseguenti pretese risarcitorie, residuando, in favore del lavoratore licenziato, la sola tutela di diritto comune per far valere un danno diverso da quello previsto dalla normativa speciale sui licenziamenti, quale ad esempio quello derivante da licenziamento ingiurioso (Cass., n. 18732 del 2013). […]”
Sentenza 18 luglio 2016/14641