La Cassazione sospende un vigile per inefficienza e inadempienza

Un istruttore della Polizia Municipale è stato sospeso dalle sue funzioni dal Comune di Roma cinque anni fa, dopo un processo che ha visto dare ragione al Comune. L’ex dipendente ha impugnato la sentenza emessa dal Tribunale per poter essere riammesso al lavoro, presentando ricorso presso la Corte di Cassazione.

Il comportamento che ha comportato la sospensione del vigile dal posto di lavoro è stato l’essere rimasto a leggere il giornale incurante dell’ingorgo di traffico creatosi attorno a lui; un istruttore direttivo lo ha trovato all’interno della cabina della Polizia Municipale, in un chiaro comportamento negligente. Nelle ragioni dell’appello, i legali del lavoratore hanno cercato di addurre motivazioni di salute per il comportamento del vigile – la difficoltà, certificata da un medico, di mantenere a lungo la posizione eretta -, oltre che una sproporzionalità della sanzione rispetto al comportamento; legali, inoltre, hanno cercato di dimostrare che il vigile si era ritagliato qualche minuto di pausa dal lavoro, come spetterebbe a tutti di diritto.

La Cassazione ha respinto tutti i motivi di appello; non si è ritenuto di dover mettere in discussione le decisione prese nei precedenti gradi di giudizio, poiché tutte le prove sono state correttamente analizzate dai giudici. Inoltre, la decisione di sospendere il vigile come punizione per la sua inefficienza è stata una decisione presa a discrezione del Comune, e non è ritenuto nel merito della Cassazione giudicare tale operato. La Cassazione ha condannato il lavoratore al rimborso delle spese processuali sostenute dal Comune, liquidate in circa 3500 euro.

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“[…] nel primo e nel quarto motivo si contesta – prospettando, nel primo motivo, una “disparità di trattamento” e, nel quarto, l’eccessività della sanzione derivante dall’assenza di conseguenze per il servizio, senza alcun riscontro documentale – la determinazione effettuata, in concreto, dall’Amministrazione datrice di lavoro della sanzione da irrogare e, quindi, si pongono in discussione le modalità di esercizio di un potere discrezionale riservato agli organi disciplinari competenti, censurabile in questa sede per manifesta irragionevolezza o mancato rispetto delle garanzie di forma (vizi di cui non si dimostra la ricorrenza) e comunque basato sulla ricostruzione dei fatti, che la Corte romana nella specie ha adeguatamente vagliato […]”.

Sentenza 20966/17 ottobre 2016