Pagamento dei contributi di solidarietà presso la Cassa Forense

L’avvocato deve pagare i contributi alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense anche se questa è in attivo per garantirne l’equilibrio finanziario nel lungo periodo

Un avvocato aveva chiesto al Tribunale di Milano il rimborso dei contributi versati alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense negli anni 1997-2007 in osservanza dell’art.10 della legge 576/1980 che ammontavano a euro 111.040,12. Sia il primo che il secondo grado di giudizio hanno respinto la domanda dell’avvocato che è, quindi, ricorso in Cassazione. Secondo l’avvocato, infatti, l’articolo già citato in precedenza è incostituzionale in quanto non pone un tetto massimo alla contribuzione dovuta.

La Corte di Cassazione ha però rigettato il ricorso ritenendo infondata la richiesta del ricorrente per difetto di rilevanza visto che “per provvedersi alla restituzione della contribuzione versata era indispensabile stabilire quel tetto che nella prospettazione dell’appellante incostituzionalmente mancherebbe”. Ha inoltre aggiunto che, sebbene la Cassa fosse in attivo, questo non giustificasse il mancato pagamento dei contributi, in quanto, la Cassa Forense, deve assicurare la contribuzione di solidarietà a tutti i suoi iscritti per un lungo periodo.

La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense è l’ente previdenziale italiano a cui devono essere iscritti tutti gli avvocati italiani presenti nell’albo professionale.

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Estratto della Sentenza 22076/18 della Corte di Cassazione:
“La Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 710/2014 respingeva l’appello proposto dall’avvocato PS avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda con la quale chiedeva l’accertamento della non debenza alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense dei contributi versati […], con la condanna della Cassa Forense alla restituzione dei predetti contributi maggiorati di interessi, previa emissione della questione di legittimità costituzionale e accertamento da parte della Corte Costituzionale dell’illegittimità ai sensi degli articolo 2, 3, 38,41,42,47, 53 della Costituzione, dell’art. 10 comma 1, lett. b) della legge 576/1980 nella parte in cui non fissa un limite massimo alla contribuzione comunque dovuta a tale titolo.
[…] La Corte di Appello ribadiva inoltre che l’essere la Cassa in attivo non significava che la contribuzione di solidarietà andasse oltre la misura necessaria ad assicurare tutti i membri della categoria professionale una pensione minima adeguata alle esigenze di vita dignitosa posto che l’equilibrio finanziario di una Cassa autofinanziata ed autonoma va considerato e assicurato in un lungo arco temporale (per legge prima di trent’anni e ora di cinquanta). Infine ribadiva la sostanziale non comparabilità tra i diversi sistemi previdenziali salva l’evidente irragionevolezza che nel caso in esame era del tutto esclusa”.