Nessuno sconto sull’appartamento di famiglia per il genitore affidatario
Nel momento della separazione tra due coniugi, il genitore affidatario della prole acquisisce di diritto la proprietà della casa familiare, anche se il valore del bene si riduce di un quarto rispetto al suo valore di mercato, dato che il diritto di abitazione è giustificabile solo per l’interesse del figlio e non per quello dell’ex coniuge. A questo proposito, la Corte Suprema di Cassazione si è espressa sulla causa tra due coniugi: l’ex moglie si era rivolta al giudice poiché giudicava ingiusta la riduzione del valore effettivo dell’immobile familiare e la mancata rivalutazione in base alle nuove quotazioni degli immobili di Roma. L’ex marito, convivente con il figlio, avrebbe goduto sia del diritto di abitazione nella casa familiare che della riduzione del valore dell’immobile, concretamente acquistabile da lui a meno della metà del prezzo di mercato; inoltre, il padre è convivente col figlio in altra abitazione da diverso tempo.
La Cassazione ha stabilito che, laddove si decidesse di decurtare il valore dell’immobile a favore di chi ha goduto dell’atipico diritto di abitazione, il coniuge ne sarebbe doppiamente avvantaggiato. Rifacendosi all’orientamento di una precedente sentenza della Corte, i giudici hanno affermato che seguendo questo orientamento l’ex coniuge non assegnatario della casa familiare uscirebbe penalizzato dalla situazione, con una cifra che non sarebbe nemmeno la metà dell’effettivo valore dell’immobile in questione. Nel caso in questione, se il coniuge assegnatario decidesse di vendere l’appartamento a terzi ne ricaverebbe l’intero prezzo di mercato senza diminuzioni; questa circostanza causerebbe una locupletazione del coniuge, ossia un proprio arricchimento a dispetto dell’altra parte. A seguito di queste riflessioni, la Corte ha stabilito che la decurtazione del 25% del valore dell’immobile risulta essere illegittima al fine di stabilire il valore dell’immobile sul mercato. L’accoglimento del motivo di ricorso della donna implica il rinvio a giudizio di tutta la sentenza emessa, rimettendo la decisione al giudice di rinvio della Corte d’Appello di Roma, la quale procederà anche alla liquidazione delle spese di giudizio.
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“[…] In precedenza la Corte (Cass. 11630/01) aveva ritenuto che: ‘L’assegnazione della casa familiare, di cui i coniugi siano comproprietari, al coniuge affidatario dei figli non ha più ragion d’essere e, quindi, il diritto di abitazione, che ne scaturisce, viene meno nel momento in cui il coniuge, cui la casa sia stata assegnata, ne chiede, nel corso del giudizio per lo scioglimento della comunione conseguente (nel caso di specie) a divorzio, l’assegnazione in proprietà, acquisendo così, attraverso detta assegnazione, anche la quota dell’altro coniuge. In tal caso, il diritto di abitazione (che è un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale) non può essere preso in considerazione, al fine di determinare il valore di mercato dell’immobile, sia perché è un diritto che l’art. 155, comma quarto, c.c. prevede nell’esclusivo interesse dei figli e non nell’interesse del coniuge affidatario degli stessi, sia perché, intervenuto lo scioglimento della comunione a seguito di separazione personale o di divorzio, non può più darsi rilievo, per la valutazione dell’immobile, ad un diritto, che, con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non ha più ragione di esistere’. […]”.
Sentenza 17843/9-9-2016