Condannato l’onerato che non versa l’assegno alla ex perché ha scelto lui di passare al part-time

L’ex compagno che passa al part-time di propria iniziativa e, per questo, motivo non versa l’assegno di mantenimento, è perseguibile.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un ex marito che era stato condannato dalla Corte di Appello di Lecce (che aveva a sua volta confermato la sentenza del Tribunale di Brindisi) al pagamento di 10.000 euro in favore della propria ex moglie, la quale era senza lavoro e in stato di degenza.

La decisione dell’uomo di ridurre le entrate mensili rinunciando a cospicui straordinari per sottrarsi all’obbligo di contributo è stato severamente punito dalla Legge. Nel dettaglio, la decisione della Suprema Corte è stata supportata dallo stato in cui era costretta a vivere la ex moglie. Infatti, a causa del mancato versamento del mantenimento da parte dell’uomo, e dal passato di esso che già negli anni precedenti aveva mancato di dare all’ex moglie i soldi che gli doveva; la donna era costretta a vivere in una situazione di oggettiva difficoltà.

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Di seguito un estratto della sentenza n. 33027/18 della Corte di Cassazione:

“[…] La Corte di Appello, con motivazione saldamente ancorata alle obiettive risultanze processuali, ha poi evidenziato che nn corrispondeva a verità che i soldi ricevuti dalla * a seguito della vendita della casa coniugale avevano compensato il credito da lei vantato nei confronti del marito. La somma di denaro a lei assegnata nel marzo 2011, a parziale soddisfazione del credito era stata destinata a pagare i debiti pregressi (posto che l’imputato non aveva più versato alcunchè dal 2006), nonché il matrimonio della figlia.

Con una valutazione del tutto logica e congruente, la Corte di merito non ha mancato di rilevare come l’intero importo conseguito, frazionato per i mesi nel corso dei quali l’imputato non aveva eseguito il versamento dovuto fino al 2011 era pari ad una somma mensile inferiore a quella fissata dal giudice civile nella sentenza di separazione.

Ed, inoltre, correttamente i giudici di merito hanno escluso che l’imputato si trovasse nell’impossibilità di adempiere agli obblighi di assistenza inerenti la qualità di coniuge sia in considerazione del fatto che era stata una sua precisa scelta quella di lavorare part time, così riducendo le proprie entrate mensili, sia avendo riguardo al fatto che, in ogni caso, dal 2010 al 2012, il predetto aveva percepito delle entrate ragguardevoli per il lavoro straordinario svolto.

La Corte motiva congruamente sul punto, evidenziando la gravità della condotta dell’imputato il quale è rimasto inadempiente ai propri obblighi di assistenza inerenti alla qualità di coniuge per circa tre anni. Deve evidenziarsi che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio e di ragionamento illogico. […]”

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