Può perdere il lavoro il dipendente che discute con il collega e lo aggredisce per futili motivi

Aggredire il collega può costare il posto di lavoro

Rigettato il ricorso di un dipendente d’azienda che aveva impugnato il licenziamento disciplinare intimatogli per essere venuto a diverbio con una collega e averla aggredita per futili motivi. La Corte di Cassazione, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, ha ritenuto la sanzione (il licenziamento, quindi), proporzionata alla condotta del lavoratore e alla sua mancanza di autocontrollo nei confronti della persona con cui ha discusso, poiché tale condotta ha messo in dubbio l’affidabilità futura del dipendente.

Davanti alla Corte, l’uomo ha contestato il licenziamento e parlato di incongruità tra atto e sanzione. Secondo l’ex dipendente, infatti, il provvedimento non sarebbe stato valutato legittimo dal Tribunale in base all’aggressione in sé, ma bensì basandosi sulla testimonianza della teste vittima dell’aggressione. I giudici hanno però confermato la loro decisione, soprattutto in virtù del fatto che una terza persona ha testimoniato confermando il fatto avvenuto di cui aveva avuto cognizione diretta ed integrale.

Alla luce delle testimonianze, i giudici hanno dato risalto all’incapacità di autocontrollo mostrata dal ricorrente. Soprattutto in relazione all’ambiente in cui si trovava. Nonché alla persona con la quale era venuto a diverbio e alle futili ragioni che lo muovevano. Tutti questi elementi hanno inciso notevolmente sul piano dell’affidamento sul futuro rispetto della disciplina aziendale e delle regole del vivere civile, motivi che hanno reso il licenziamento una sanzione proporzionata.

Lo studio legale CTSA Tommasini di Verona è composto da uno staff di avvocati competenti, esperti in diritto del lavoro, pronto a sostenervi in difesa dei diritti del lavoratore, aiutandovi in caso di licenziamenti.

Qui un estratto dalla sentenza della Cassazione n. 1945/2018:

“[…] il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla riferibilità al ricorrente dell’addebito contestato, almeno per quel che riguarda il nucleo essenziale dato dall’aggressione fisica in danno della collega, risulta sorretto dal riferimento alla sola testimonianza ritenuta attendibile in quanto basata sulla cognizione diretta ed integrale dell’episodio.”

“[…] avendo la Corte medesima puntualmente proceduta alla detta valutazione e con specifica attenzione al profilo di cui si è comunque adombrata l’omessa considerazione, dato dal vulnus che l’incapacità di autocontrollo mostrata dal ricorrente a fronte dell’ambiente in cui si trovava, della persona con la quale era venuta a diverbio e delle futili ragioni che lo muovevano inducono sul piano dell’affidamento sul futuro rispetto della disciplina aziendale e delle regole del vivere civile.”

Lascia un commento