Il recesso per giusta causa è illegittimo se non viene verificata la malafede del dipendente

Se non viene provata la malafede del lavoratore, il licenziamento per giusta causa diventa illegittimo.

A deciderlo, la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 18261 dell’11 luglio 2018, con la quale ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello, affermando che, ai fini della legittimità di un licenziamento per giusta causa, è necessario verificare che la gravità del fatto investa sia l’elemento oggettivo che quello soggettivo. La conseguenza è che il recesso dal contratto lavorativo deve considerarsi illegittimo nel caso in cui non venga provata la malafede del dipendente.

Il lavoratore, quadro con incarico di responsabile dell’Ufficio Relazioni Esterne, aveva impugnato giudizialmente il licenziamento per giusta causa irrogatogli per aver inserito, senza averne permesso e potere, sedici proposte di acquisto accedendo all’applicativo del sistema informatico aziendale.

Secondo l’ordinanza della Cassazione l’art. 2119 è una clausola generale che, a fini applicativi, deve essere integrata con alcuni indici sintomatici come per esempio la potenzialità che ha il fatto accaduto di mettere in dubbio la futura correttezza del dipendente e il rapporto di fiducia instaurato fra azienda e lavoratore. Risulta quindi necessario che i Giudici di legittimità esaminino la validità della giusta causa del licenziamento e il livello di gravità della condotta del dipendente.

Alla fine di tale processo di analisi, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dal lavoratore valutando illegittimo il licenziamento per giusta causa.

Lo studio legale CTSA Tommasini di Verona è composto da uno staff di avvocati competenti, esperti in diritto del lavoro, pronto a sostenervi in difesa dei diritti del lavoratore, aiutandovi in caso di licenziamenti.

Qui uno stralcio della sentenza n. 18261 del 11/07/2018:

“[…] nella specie, con particolare riferimento alla sussistenza dell’elemento psicologico, andava verificato non solo l’aspetto di una negligenza o di acquiescenza a determinante prassi datoriali, ma anche la eventuale mala fede del dipendente in quel determinato contesto caratterizzato da una non perfetta organizzazione nelle procedure d’acquisto e nei relativi controlli […]

[…] conseguentemente, avrebbe dovuto essere considerata la proporzionalità della sanzione applicata modulata in ordine di tale nuova valutazione della gravità: e ciò in virtù di un procedimento, che informa l’intero sistema disciplinare del rapporto di lavoro, che non sfugge ad un sindacato di legittimità sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nella applicazione della clausola generale […]”

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