Non è possibile definire un contratto Co.Co.Co. in mancanza di un inquadramento aziendale

La Corte Suprema di Cassazione si è pronunciata a proposito di una causa civile tra una dipendente ed un datore di lavoro. Per un lungo periodo di tempo, la lavoratrice aveva svolto mansioni e orari da regolare lavoratore subordinato, pur non avendo, in realtà, un contratto proporzionato al lavoro svolto. Attraverso contratti definiti “a progetto”, infatti, la donna non era stato in alcun modo tutelata e si era vista declassificare la retribuzione proprio per il tipo di contratto scelto per lei dall’azienda. Durante la causa presso il Tribunale di Sassari, l’azienda in questione aveva resistito con ricorso, motivando in diversi punti la scelta della somministrazione di contratti a progetto. Per l’azienda, il fatto che la lavoratrice abbia svolto mansioni specifiche e determinate non le attribuiva il diritto ad un contratto da lavoratore subordinato; inoltre, l’attività di recupero crediti a lei assegnata comporta solo una parte delle attività svolte all’interno dell’azienda, la quale ha così giustificato la sua condotta. L’azienda ha infine sottolineato che la lavoratrice aveva rinunciato consapevolmente alla possibilità di altri tipi di contratto, e quindi il suo ricorso in Tribunale non potesse essere giustificato legittimo dalla Corte.

La Corte di Cassazione ha giudicato inammissibili e infondati i motivi di ricorso dell’azienda; infatti, la Cassazione ha stabilito che il contratto a progetto deve essere inquadrato in un determinato disegno aziendale; senza di esso, questo tipo di contratto lavorativo deve considerarsi nullo e inapplicabile. Dato che la lavoratrice non ha provveduto ad alcuna attività difensiva, la Corte non ha disposto per lei alcun tipo di restituzione delle spese processuali, ma ha comunque previsto un indennizzo a titolo risarcitorio.

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“[…] La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed accertato che lo stesso progetto allegato ai contratti di lavoro tra le parti (“contribuire in modo tangibile alla definizione della posizione debitoria dei singoli soggetti proposti dalle imprese mandanti, attraverso la proposizione di strategie di sollecito e di recupero compatibili con le indicazioni delle imprese mandanti – e dunque dei clienti della società – e con le vigenti normative in materia, effettuando un’analisi dei crediti scaduti, il relativo rintraccio dei debitori, il sollecito telefonico e l’aggiornamento delle informazioni in possesso”), coincideva con lo svolgimento dell’ordinaria attività aziendale (avente per oggetto sociale l’attività di recupero crediti per conto di terzi committenti, e dunque nella ricerca del contatto con il debitore, nel concordare con lo stesso le modalità di pagamento anche dilazionato, nell’invio di solleciti di pagamento), svolta via telefono ed informatica presso la sede dell’azienda ed utilizzando le relative postazioni telefoniche e telematiche. […]”.

Sentenza 17711/7-9-2016