L’amministratore di condominio è obbligato a comunicare i dati dei condomini morosi senza violare la privacy
Obbligo dell’amministratore di comunicare ai creditori i dati dei condomini morosi senza violare la privacy
A Roma un’impresa ha portato in tribunale l’amministratore di un condominio che, dopo varie richieste, si era rifiutato di comunicare i nominativi dei condomini morosi. Così, con sentenza numero 8426 del 24 aprile 2018, la Corte di Cassazione ha condannato il condominio, in persona dell’amministratore, ad indicare i dati dei condomini che avevano mancato il pagamento. Secondo l’art. 63 del Codice Civile, riformato dalla legge 220/2012, “l’amministratore è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi”.
Si tratta di un dovere legale di salvaguardia dell’aspettativa di soddisfazione dei soggetti titolari di crediti derivanti dalla gestione condominiale, ovvero un obbligo dì cooperazione con il creditore posto dalla legge in capo al Condominio e, per esso, al suo amministratore. Nessuna rischio di violazione della privacy dunque, l’immotivato rifiuto dell’amministratore risulta invece essere la violazione di una specifica norma di legge.
Da sottolineare che la colpa e di conseguenza la condanna, non ricadono direttamente sull’amministratore. La Corte di Cassazione, infatti, si è contrapposta alla decisione del Tribunale di Napoli che aveva condannato quest’ultimo. La legge indica semplicemente l’organo del Condominio che deve adempiere all’obbligo di comunicazione. Nel caso in cui il condominio imputi al proprio amministratore la responsabilità della mancata comunicazione dei nominativi, dovrà esser suo compito esporre denuncia e intraprendere vie legali.
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Di seguito un estratto della sentenza 8426/2018 della Corte di Cassazione:
“[…] Il condominio, n persona dell’amministratore, va pertanto condannato a comunicare alla ricorrente i “dati dei condòmini morosi”, comprendenti: l’indicazione dei nominativi, delle complete generalità e delle carature millesimali di ciascun obbligato, nonché, con riferimento al credito vantato dalla società attrice, le somme dagli stessi dovute pro quota.
Occorre pertanto che venga precisata laSituazione debitoria dei condòmini, come risultante dai riparti eventualmente approvati dall’assemblea, comprendenti le somme dovute alla parte ricorrente, e dallo stato dei relativi versamenti.
Riguardo al risarcimento del danno la quantificazione dello stesso non pare potersi parametrare agli interessi maturati a decorrere dalla prima richiesta, essendo gli interessi dovuti dai debitori per il fatto del ritardato pagamento e quindi potendo essere richiesti in sede di esazione del credito. Il danno provocato potrebbe invece identificarsi nel pregiudizio che il ritardo nel perseguire i condòmini morosi abbia concretamente arrecato alla stessa possibilità di ottenere il pagamento del credito. Così inteso, però, risulta un danno non solo futuro, ma meramente potenziale e non provato; la domanda risarcitoria non può quindi trovare accoglimento.
Vi è comunque che la mancata cooperazione dell’amministratore rappresenta un comportamento che ostacola il creditore nella tutela del proprio diritto, e tale circostanza rende meritevole di accoglimento la richiesta della parte ricorrente tesa a fissare, ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., una “penale” a carico dell’obbligato per l’eventuale ritardo nella esecuzione della condanna. […]”